Diario

"Supponiamo uno spazio di tempo di quindici secondi. Non è molto. Sì, è molto. È una buona norma. Il modo di utilizzare questo breve spazio di tempo basta a fare la differenza tra gli uni e gli altri, per tutta la vita."

 

 

 

In un arco di tempo di quarantaquattro giorni Roberta Colombo ha realizzato seicentosei ceramiche raku, in pezzi unici. Ogni giorno, dal cinque febbraio sino al venti marzo, ha creato un numero di pezzi pari alla data del giorno stesso: cinque pezzi il cinque, sei il sei, e così via. Quarantaquattro giorni in cui si è imposta la registrazione del proprio vissuto con un rigore che, pur appartenendo generalmente alla forma ‘diario’, nello specifico ne trasforma gli esiti. Il procedimento numerico e cabalistico, nato dal privilegio di un numero – il quarantaquattro degli anni, dei giorni e delle ore che si compiono – si moltiplica ossessivamente nella proliferazione dei pezzi mostrando la vera natura di questo particolare diario in forma d’oggetti. Gli anni si compiono e, appunto, il Diario si presenta come il ripetersi di un compimento che si avvera puntualmente in ogni singolo pezzo: ogni giorno, più volte al giorno, in base al giorno.

 Foto Fabio Dalino

PRECIPITATO

Henri Michaux, Trave angolare

2002 - diario - 44 anni, giorni, ore - Milano, casa privata

Il Diario risulta allora genuinamente estraneo alla linearità del discorso. Esso assume semmai l’aspetto del ‘calco’ immediato, in presa diretta, di ciò che irrevocabilmente appartiene, nell’intimità, all’immagine del sé. In tal modo questo strano diario d’oggetti, nella sua interezza come in ogni sua singola parte, piuttosto che restituire un’immagine compiuta, si offre come breccia aperta nel sé, ci mostra schegge e frammenti che hanno forma e valore di reperti emersi in superficie, galleggianti alla deriva, per i quali, a dispetto di tutto, è ancora possibile un riconoscimento che consente di nominare il diario come il ‘proprio’. Solo in questo senso ogni oggetto prodotto, grazie al procedimento attivato che ne consente, anche nella casualità, la nascita, appare come forma concreta di un riconoscimento, di una seppur debole appartenenza a qualcosa che si vuole leggere, sempre per sé, come propria storia. Dalla memoria del ‘famigliare’ all’incontro cercato e casualmente trovato, l’“Io, ora, qui” della registrazione immediata consegna, alla testimonianza di un’impronta, il proprio stato d’animo e si ritrova così senza misura.

Fissato in un calco, precipitato in un punto che ne condensa la storia, l’io, nell’oggetto prodotto, appare come un dardo che annuncia la propria ricapitolazione; evento messianico di un tempo altro che non segna un punto d’arrivo ma afferma la nascita, in profondità, di un nuovo inizio, a partire da sé.

2002 - diario crudo

Non è un caso che due elementi assumono particolare importanza nel lavoro di Roberta: il tema del corpo e il tema del coinvolgimento di altre persone che ‘io’ non sono ma che, nella relazione, lo diventano. È indubbio che il corpo proprio e quello degli altri, la propria e l’altrui presenza, anche sotto forma d’oggetti, entrano nel Diario in un rapporto di tale complicità dialettica da comporre, sino alla fine, un ‘organismo unico’. Da un lato il ‘proprio’ corpo si ritrova, letteralmente, fatto a pezzi: ginocchia, mento, ascelle, dita formano una tassonomia separata e distinta di porzioni di sé apparentemente non ricomponibile. Dall’ altro lato, le numerose altre presenze lasciano ‘impronte’ che, nella totalità del Diario, ricompongono la possibilità di un corpo ampio ed  esteso, che  abbraccia e si  costituisce nel fondamento della relazione, in una condizione di sentita reciprocità. Catturato nel procedimento, introdotto come testimonianza ulteriore, come ‘terzo’ inevitabile e irrinunciabile, costitutivamente interno all’aspetto più essenziale del Diario, l’intervento di una persona che Roberta non è, l’impronta di un corpo altro, assume la stessa rilevanza dell’impronta impressa nella ceramica grezza dall’oggetto riaffiorato dai cassetti della memoria privata. Dall’estraneità dell’essere altro il soggetto/oggetto coinvolto si ritrova proiettato dentro un’intimità che lo include, che lo assorbe, che lo rende parte di un organismo e di una memoria che, proprio perché più ampia, si può dire storia. La memoria del sé come memoria dell’altro è forse l’unico aspetto narrativo che appare in trasparenza visibile nel Diario di Roberta Colombo. Anche se per molti aspetti tale tema rimane nascosto e sotterraneo, come sottotraccia, un tema implicito e non totalmente espresso, è possibile leggerne comunque la presenza la dove il termine memoria appare fuso con l’oggetto ‘a testimonianza’. Questa possibile identità di senso trova difatti precisa esposizione nella verità puntuale del calco e dell’impronta. La memoria prende forma istantanea nel segno che la traccia di una presenza lascia e che, nel presentarsi, diviene rilevante solo in quanto forma di quell’esteso corpo che chiamiamo la ‘nostra’ persona, il ‘nostro’ dna, la ‘nostra’ storia.

È di vitale importanza allora compiere l’attenzione d’ogni nostro sforzo, anche minimo, in ogni attimo sospeso, anche il meno innocente, speso sotto questo cielo, per comprendersi nella relazione al mondo. Di questa attenzione ci parla il Diario, in ogni singolo pezzo come nell’intero che li comprende tutti, e, con non poca ironia, il prezzo della memoria e della testimonianza è definito al grammo.

 

Maurizio Giannangeli

 Foto Fabio Dalino

2002 - fivemeterswalk - 44 anni, giorni, ore

2002 - cuore, rituale voodoo - 44 anni, giorni, ore