Ritratti

foto di Emilio Tremolada

2009 - RITRATTI

foto di Emilio Tremolada

2009 - RITRATTI - Galleria Blanchaert, Milano

foto di Emilio Tremolada

2009 - RITRATTI - Galleria Blanchaert, Milano

Altro che Pitti Moda

 

C'è qualcosa di inevitabilmente narcisistico in ogni lessico familiare. Chi di noi non prova un sentimento di simpatia quando nella libreria di un amico si imbatte nello stesso volume di Kontiki che stava negli scaffali dei suoi genitori oppure si ritrova a fare la prima colazione con le medesime tazze da caffelatte marrone alemanno siglate Bavaria.

È questo il sentimento che ho provato guardando le mie scarpe trasformate in ceramica da Roberta Colombo.

La materia, di cinquecentesca memoria faentina attualizzata con una punta di giallo, era riuscita a creare perfettamente la mia personalità.

Come i lettori possono facilmente immaginare, destino di un gallerista è ricevere molti ritratti di sè. Gli artisti pensano di fargli cosa gradita portandogli una scultura, un dipinto a olio o in acrilico o una fotografia che lo raffiguri. Questi sforzi sono accolti benevolmente, anche se creano nel gallerista in questione un certo imbarazzo.

Se archeologi del futuro dovessero aprire la camera stagna dove ho stipato i miei ritratti rimarrebbero interdetti: chi è questo dittatore di cui non c'è traccia nella storia? Difatti solo un dittatore potrebbe avere così tante rappresentazioni di sè.

Voglio qui dire che l'indiretta fotografia che ha saputo fare di me Roberta Colombo è forse l'immagine che mi rappresenta meglio. Sono scarpe che hanno molto camminato, sfondate sopra e sotto, sono il modello Vergelio del negozio di via Torino, sono le scarpe di chi non ha la disponibilità finanziaria di comprare Church e alloggia negli alberghi a tre stelle. Sono le belle scarpe di un poveraccio. Sono le mie scarpe. Ancora in uso.

Girando nello studio di Roberta fra questa infilata di calzature ci si rende subito conto della ventennale pratica quotidiana che ha con la materia ceramica. Altrimenti l'argilla non riuscirebbe a sembrare plastica, cuoio, lana lavorata a maglia, gomma, tela e infine, magicamente, anche feltro.

Chi è stato in Terra Santa ed ha dimestichezza col Vecchio e il Nuovo Testamento si è certamente chiesto come avessero potuto percorrere, allora, tanta strada, i profeti, gli apostoli, lo stesso Nazareno e gli uomini comuni. Con i loro eleganti sandali di cuoio scrivevano la storia camminando perchè camminando si crea un ritmo naturale che favorisce sia il flusso di pensieri buoni che la fuoriuscita di cattive energie.

Quante volte abbiamo trovato il lavaggio dei piedi come rito finale dopo che la polvere del deserto della Giudea li aveva avvolti. Il lavaggio di tutti i lavaggi rimarrà quello di Maria Maddalena.

In tempi più recenti le scarpe hanno risposto con la loro testimonianza muta e comunicativa allo stesso tempo persino alle deliranti insinuazioni dei negazionisti della Shoah. Centinaia di migliaia di calzature sono ammassate dietro ad una vetrina del campo di Auschwitz 1. Narrano la storia di chi le portava, la sua condizione sociale, il suo stato d’animo, il carattere. Il più tragico dei contesti ci ha mostrato la forza espressiva di un esercito di calzature. Le scarpe comunque parlano sempre, in tristezza e in allegria, in pace e in guerra. Se Roberta Colombo riesce a rappresentarle così bene, vorremmo consigliarle di non cambiare percorso almeno per qualche anno.

Ma veniamo ora alla mostra.

L'educatrice Laura Plebani è presente in mostra con delle infradito d'oro che ci raccontano quanto ella sia ricercata. Anche in ispiaggia.

L'antiquaria Fede Lorandi si presenta con del cuoio intrecciato anni ‘30 col quale balla appassionatamente il tango.

Francesca Manfredini, manager matematica autentico piede da Cenerentola, ci comunica la sua adesione all'estetica di Easy rider, estetica che condivide con il marito, l'etereo artista cibernetico Michele Bohm.

Il liceale scientifico Andrea Guzzetti, figlio dell'autrice, ama sedersi al computer con le sue Vans  di cotone, pantofole cult per un hacker.

Giuseppe Peveri, in arte Dente, cantautore fidentino, riceve il suo discografico con queste due facce protettive, avvolgenti di peluches di Pippo. Walt Disney ai piedi.

Gilberto Guzzetti anch’egli figlio, sulle orme del nonno Gilberto Colombo, studia ingegneria e non abbandona mai le All Star, fedele all'antico detto "scarpe grosse, cervello fino".

Emanuela Savi, la Lela, fotografa, si alza sulle zeppe con la curiosità indispensabile per chi esercita la sua professione.

Silvia Gallinari, la Sissi, designer, ispira Dente aggirandosi per la casa con questi zoccoli romantici privi della cattiveria di via Spiga.

Marco Colombo, architetto, fratello della scultrice, gloria velistica del Lario, abbandona malvolentieri le Top Sider con le quali è stato visto tre anni fa anche alla prima della Scala.

Bona Amman, pittrice e favolosa, trasforma Milano in Parigi con le Roger Didier che aveva Caterine Deneuve in Belle de jour.

Maia Beltrame, giornalista, ha invece abbandonato le Roger Didier per delle Vibram Roccia, grazie alle quali gareggia in agilità con gli stambecchi di Alagna.

Nuria Sala Grau, danzatrice bharatanatyam ci fa conoscere l’India classica grazie alle sue cavigliere da ballo che, accompagnano con sonagli il battito dei suoi piedi. In quegli istanti Nuria è interprete e allo stesso tempo direttore d’orchestra.

Infine, Roberta Colombo, pittrice, ceramista e mamma. Ha trovato in un baule nella soffitta della casa di Lierna le piccole babbucce di lana che sua madre, Mariantonia Gilardi detta Pitti, a cui questa mostra è dedicata, aveva tricottato per lei.

Grazie Pitti, altro che Pitti moda.

 

Jean Blanchaert

 

 

disegni